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Il ricco buono e il povero cattivo

Se l'unica suddivisione possibile tra esseri umani è tra oppressi e oppressori, non restano dubbi: sappiamo con chi schierarci.
Non proviamo a trovare giustificazioni, le beatitudini sono chiare: "beati i poveri" (Lc 6,20).
Un ricco buono, per quanto irreprensibile secondo la morale borghese, è comunque reo di una forma di oppressione.
Un povero anche cattivo (violento, ignorante, scomodo) rimane comunque una vittima di quella oppressione(*).
Quindi la sola possibilità per un ricco di liberarsi della sua colpa sta nel non essere più tale restituendo tutto il non necessario secondo il principio che quanto si accumula è sottratto ai poveri(**).
Rinunciare ad essere ricchi non significa iniziare a subire passivamente l'oppressione, quanto piuttosto attivarsi, entrare in un dinamismo che spezza questi circoli viziosi ed esce dalle logiche di morte, purtroppo largamente dominanti.
Solo allora sarà possibile creare una terza categoria di persone (ci piace immaginare che questa categoria coincida con la realizzazione del Regno dei Cieli, così come pensato da Dio): coloro che non sono complici dell'oppressione e si schierano con gli oppressi, ricercando insieme la comune liberazione.
Dio prende talmente sul serio la libertà umana da non poter intervenire in questo processo di conversione: spetta ai singoli. Ma il grande scandalo è questo: chi decide di combattere l’oppressione viene lasciato solo e quindi può essere facilmente eliminato. È la storia del Crocifisso di ieri e dei crocifissi di oggi.
E noi dove ci collochiamo?

(*) cfr. Corrado Lorefice, Dossetti e Lercaro, La Chiesa povera e dei poveri nella prospettiva del Concilio Vaticano II, Ed. Paoline, Milano 2011, p. 204 e seguenti
(**) «E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Mt 19,24)